Certe giornate sono
fatte apposta per pensare, anche se non vorremmo. E questo è un fatto. Un fatto
a cui puoi cercare di sfuggire, inutilmente; un fatto che puoi accettare e
andare incontro a pensieri che non vorresti formulare ma che si formano, ineluttabilmente,
come nubi vaporose in un cielo azzurro.
Una di queste
giornate mi è piombata addosso lunedì, pesante come un macigno, senza preavviso.
Senza preavviso
perché quella era una giornata in cui
avevo deliberatamente scelto di non pensare. Avevo preso un giorno di ferie,
facendo i conti con i miei sensi di colpa (li ho sempre, quando si tratta di
prendere ferie, non chiedetemi perché, sono fatta così) e vincendo, e avevo
deciso che non mi sarei preoccupata di quanto avrei dormito alla mattina e che
avrei passato il pomeriggio in una bellissima libreria di Monza.
E così ho fatto.
Ed è stato bello,
bellissimo.
Lunedì era, tra l’altro, una splendida giornata di sole sorta delle
macerie meteorologiche del disastroso weekend, e il cielo sembrava spolverato e
lavato di fresco.
Ho fatto il mio lungo
giretto in libreria (che ha prodotto l’acquisto di due libri che cercavo da
tempo e di cui, a tempo debito, vi parlerò!) e poi ho fatto una passeggiata per il centro, cercando di fare il pieno
di aria tiepida e cielo azzurro, di bellezza e di piacevole calma.
E così, ho fatto anche
questo.
Poi, nel tardo pomeriggio, ancora galleggiante in una mia rara interna quiete, ho ripreso la macchina per tornare a casa, dato l’approssimarsi dell’ora di
punta era meglio muoversi prima per non rischiare di rimanere imbottigliati.
Esco dal buio
opprimente del silo e mi tuffo nel traffico pomeridiano, distrattamente accendo la radio. Una serie di canzoni mi piovono addosso, ma nemmeno le sento
perché sto guardando fuori dal finestrino: il mio intento non era andato a buon
fine, ed ero appunto imbottigliata nelle vie brulicanti di passanti e
automobili.
Bene anche così, ho
pensato, mi guarderò un po’ in giro, a chi non piace guardarsi in giro, se può?
E l’ho fatto.
Dapprima
soffermandomi sulle vetrine degli splendidi negozietti particolari, poi sui
vecchi e signorili palazzi della zona vicino al centro. VENDESI TRE LOCALI, diceva un cartello appeso a una ringhiera, poco lontano, due signore
stavano chiacchierando del più e del meno, con le buste della spesa in mano. Il
suono di un clacson, l’urlo di un saluto e la risposta, poco più in là, persa
tra i rumori della città.
Il cielo era ancora
azzurro, ma le nubi, dentro di me stavano per arrivare.
Palleggiato da un angolo di città all'altro, lo sguardo scivola su
una signora che posteggia la sua bicicletta in prossimità di un negozio di
scarpe che promette prezzi stracciati e vertiginosi sconti su tutte le linee.
La signora lega la sua bici e poi si passa le mani sulla gonna per sistemarne
le pieghe. E’ una gonna semplice, un po’ rovinata agli orli, la sua bicicletta
è arrugginita e scrostata in alcune parti. Ma la signora ha le spalle dritte e
la testa alta, fa per entrare nel negozio, ha già le mani sulla manigliona nera
quando un’esitazione la ferma, il suo sguardo cade su una bella bicicletta
bianca e rosa, nuova o quasi, appoggiata al muro lì vicino, senza nemmeno il
catenaccio a tenerla al sicuro dai ladri. La proprietaria certamente non
avrebbe avuto problemi a comprarne un’altra qualora gliel’avessero rubata. La
proprietaria non sarebbe certamente entrata in un negozio di scarpe dai prezzi
stracciati.
Un groppo mi sale in
gola, mentre la Signora (sì, con la S maiuscola) entra
nell'ombra del negozio e fa i primi passi guardandosi intorno.
Improvvisamente lo so, quel groppo in
gola è salito anche a lei. Forse, ha pensato quello che ho pensato io.
Guardo davanti a me,
la coda di macchine si smuove, finalmente, mentre il giornale radio comincia a
sputare fuori le sue notizie.
Alcuni dettagli di
politica, dati di economia, numeri incomprensibili (almeno per me) di mercati
italiani e stranieri e poi…
…ci sono stati altri
suicidi, dice, per via della crisi. Non colgo i nomi delle città in cui sono
avvenuti. Mi fermo sulle parole suicidi, disperazione, paura, debiti…
Il groppo in gola si
fa più stretto.
La voce al giornale
radio ci ragguaglia sul traffico, e poi soffia fuori una veloce previsione
meteo, prima di interrompersi.
Può ricominciare la
musica. Ma ormai è troppo tardi.
La coda di macchine
si muove più velocemente, ora , mentre dalla radio le prime note di We are young, il tormentone del momento, inondano l’abitacolo.
Il cielo non è meno
azzurro, lo so. E forse proprio per quello mi fa così male.
Il cielo non cambia, è azzurro sulle guerre, è azzurro sulla fame, è azzurro fuori dalla finestra
di chi disperato preme un grilletto contro se stesso.
E allora, mentre
ormai sono uscita del centro e ho imboccato il viale Regina Margherita (quanto
è splendido, in questo periodo dell’anno…) per tornare a casa, mentre dal
finestrino aperto l’aria entra con più forza, sarà per l’immagine di quella
Signora dalla gonna sdrucita e di quella sua esitazione carica di significato,
sarà per quelle notizie gettatemi addosso dal giornale radio, sarà perché avevo
scelto di non avere paura almeno per un giorno e invece non le si può
sfuggire…sarà per il cielo, ancora e sempre azzurro, purtroppo o per fortuna,
qualche lacrima mi è scesa. Dentro e fuori.
Perché le lacrime scendono
sempre sia dentro che fuori. E quelle dentro fanno più male, perché graffiano, mentre vanno giù.
E la musica esplode,
e alzo il volume…e…
…chissà
se quella Signora lo ha trovato, un bel paio di scarpe. Belle e comode. Magari
a un prezzo stracciatissimo, ma favolose. Più belle di quelle che avrebbe
potuto desiderare.
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