venerdì 11 maggio 2012

Certe giornate...


Certe giornate sono fatte apposta per pensare, anche se non vorremmo. E questo è un fatto. Un fatto a cui puoi cercare di sfuggire, inutilmente; un fatto che puoi accettare e andare incontro a pensieri che non vorresti formulare ma che si formano, ineluttabilmente, come nubi vaporose in un cielo azzurro.
Una di queste giornate mi è piombata addosso lunedì, pesante come un macigno, senza preavviso.
Senza preavviso perché quella era una giornata in cui avevo deliberatamente scelto di non pensare. Avevo preso un giorno di ferie, facendo i conti con i miei sensi di colpa (li ho sempre, quando si tratta di prendere ferie, non chiedetemi perché, sono fatta così) e vincendo, e avevo deciso che non mi sarei preoccupata di quanto avrei dormito alla mattina e che avrei passato il pomeriggio in una bellissima libreria di Monza.
E così ho fatto.
Ed è stato bello, bellissimo. 
Lunedì era, tra l’altro, una splendida giornata di sole sorta delle macerie meteorologiche del disastroso weekend, e il cielo sembrava spolverato e lavato di fresco.
Ho fatto il mio lungo giretto in libreria (che ha prodotto l’acquisto di due libri che cercavo da tempo e di cui, a tempo debito, vi parlerò!) e poi ho fatto una passeggiata per il centro, cercando di fare il pieno di aria tiepida e cielo azzurro, di bellezza e di piacevole calma.
E così, ho fatto anche questo.
Poi, nel tardo pomeriggio, ancora galleggiante in una mia rara interna quiete, ho ripreso la macchina per tornare a casa, dato l’approssimarsi dell’ora di punta era meglio muoversi prima per non rischiare di rimanere imbottigliati.
Esco dal buio opprimente del silo e mi tuffo nel traffico pomeridiano, distrattamente accendo la radio. Una serie di canzoni mi piovono addosso, ma nemmeno le sento perché sto guardando fuori dal finestrino: il mio intento non era andato a buon fine, ed ero appunto imbottigliata nelle vie brulicanti di passanti e automobili.
Bene anche così, ho pensato, mi guarderò un po’ in giro, a chi non piace guardarsi in giro, se può?
E l’ho fatto.
Dapprima soffermandomi sulle vetrine degli splendidi negozietti particolari, poi sui vecchi e signorili palazzi della zona vicino al centro. VENDESI TRE LOCALI, diceva un cartello appeso a una ringhiera, poco lontano, due signore stavano chiacchierando del più e del meno, con le buste della spesa in mano. Il suono di un clacson, l’urlo di un saluto e la risposta, poco più in là, persa tra i rumori della città.
Il cielo era ancora azzurro, ma le nubi, dentro di me stavano per arrivare.
Palleggiato da un angolo di città all'altro, lo sguardo scivola su una signora che posteggia la sua bicicletta in prossimità di un negozio di scarpe che promette prezzi stracciati e vertiginosi sconti su tutte le linee. 
La signora lega la sua bici e poi si passa le mani sulla gonna per sistemarne le pieghe. E’ una gonna semplice, un po’ rovinata agli orli, la sua bicicletta è arrugginita e scrostata in alcune parti. Ma la signora ha le spalle dritte e la testa alta, fa per entrare nel negozio, ha già le mani sulla manigliona nera quando un’esitazione la ferma, il suo sguardo cade su una bella bicicletta bianca e rosa, nuova o quasi, appoggiata al muro lì vicino, senza nemmeno il catenaccio a tenerla al sicuro dai ladri. La proprietaria certamente non avrebbe avuto problemi a comprarne un’altra qualora gliel’avessero rubata. La proprietaria non sarebbe certamente entrata in un negozio di scarpe dai prezzi stracciati.
Un groppo mi sale in gola, mentre la Signora (sì, con la S maiuscola) entra nell'ombra del negozio e fa i primi passi guardandosi intorno.
Improvvisamente lo so, quel groppo in gola è salito anche a lei. Forse, ha pensato quello che ho pensato io.
Guardo davanti a me, la coda di macchine si smuove, finalmente, mentre il giornale radio comincia a sputare fuori le sue notizie.
Alcuni dettagli di politica, dati di economia, numeri incomprensibili (almeno per me) di mercati italiani e stranieri e poi…
…ci sono stati altri suicidi, dice, per via della crisi. Non colgo i nomi delle città in cui sono avvenuti. Mi fermo sulle parole suicidi, disperazione, paura, debiti…
Il groppo in gola si fa più stretto.
La voce al giornale radio ci ragguaglia sul traffico, e poi soffia fuori una veloce previsione meteo, prima di interrompersi.
Può ricominciare la musica. Ma ormai è troppo tardi.
La coda di macchine si muove più velocemente, ora , mentre dalla radio le prime note di We are young,  il tormentone del momentoinondano l’abitacolo.
Il cielo non è meno azzurro, lo so. E forse proprio per quello mi fa così male.
Il cielo non cambia, è azzurro sulle guerre, è azzurro sulla fame, è azzurro fuori dalla finestra di chi disperato preme un grilletto contro se stesso.
E allora, mentre ormai sono uscita del centro e ho imboccato il viale Regina Margherita (quanto è splendido, in questo periodo dell’anno…) per tornare a casa, mentre dal finestrino aperto l’aria entra con più forza, sarà per l’immagine di quella Signora dalla gonna sdrucita e di quella sua esitazione carica di significato, sarà per quelle notizie gettatemi addosso dal giornale radio, sarà perché avevo scelto di non avere paura almeno per un giorno e invece non le si può sfuggire…sarà per il cielo, ancora e sempre azzurro, purtroppo o per fortuna, qualche lacrima mi è scesa. Dentro e fuori.
Perché le lacrime scendono sempre sia dentro che fuori. E quelle dentro fanno più male, perché graffiano, mentre vanno giù. 
E la musica esplode, e alzo il volume…e…

…chissà se quella Signora lo ha trovato, un bel paio di scarpe. Belle e comode. Magari a un prezzo stracciatissimo, ma favolose. Più belle di quelle che avrebbe potuto desiderare.




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