martedì 25 settembre 2012

Ci serviranno i denti


Torno a casa stanca morta e semi-esaurita dopo una giornata pesante, ceno, poi mi siedo sul divano per leggere il giornale. L'intento era quello di rilassarmi, rimanendo per qualche minuto con me stessa a leggere del mondo che mi circonda, cercando di difendermi, con una tazza di tisana calda, dal primo fastidioso freddino subdolo che solo le prime giornate d'autunno sanno provocare e, invece, ho cominciato a tremare.
No, non è un modo di dire, tremavo sul serio. Un brivido mi ha scosso così violentemente da farmi cadere qualche goccia dalla tazza, e allora l'ho appoggiata sul tavolo di fronte a me e ho chiuso il  giornale. Non so se fosse, quello, un brivido di paura o di freddo. So che sono rimasta per un lungo attimo rannicchiata sul divano a fissare lo schermo del televisore a cui avevo tolto l'audio; immagini di volti sorridenti, pubblicità mute e colorate scorrevano davanti a me.
Parole, solo parole, sempre parole.
Tutti parlano di giustizia, in fila in posta, a far la spesa o sui giornali. Tutti invocano correttezza e civiltà, ma i giornali fanno tremare.
Non si sta più bene, quaggiù, e non si sa più come dirlo a chi sta Lassù. Ti viene da dire che forse sarebbe il caso di smetterla di lasciarci liberi, o di contare su di noi e sulla nostra intelligenza, perché qui, su questo mondo, facciamo proprio schifo.
Non so come altro definire quello che ho letto, tutto quello che ho letto. Un terrificante schifo senza fine. Azioni vergognose insieme ad azioni pericolose, cattiveria insieme a ignoranza, paura insieme a disperazione, tutte a braccetto in una lunga marcia folle e scomposta; una tetra festa della pazzia.
Ma le pubblicità mostrano volti sorridenti e continuano a blaterare di bisogni presunti e soluzioni impossibili, denti bianchi, sempre più bianchi, ci promettono che la nostra vita sarà diversa, con una spazzolata di dentifricio miracoloso.
Non c'è nulla, proprio nulla da ridere, se seduti sul divano di casa nostra ci guardiamo intorno smarriti dopo essere stati attraversati da un brivido. Non c'è nulla da ridere nell'avere la nausea dopo aver letto il giornale, non è divertente tremare, nemmeno quando il primo freddo d'autunno bussa alle porte, si infila dalle fessure degli infissi e si diverte a solleticarti con le sue dita un po' gelide e un po' umide.
La folle banda suona la marcia fuori, di notte e di giorno, per le strade. Suona una marcia stonata e fastidiosa che fa venire voglia di urlare.
Non c'è nulla da ridere, non c'è più nulla da dire.
Solo ricordiamoci di lavarci bene i denti, di renderli sempre più forti e sani.
Ci serviranno.
Ci serviranno i denti, e non per sorridere.




domenica 23 settembre 2012

Una stanza per la cenere


Questa è una di quelle sere in cui ci vorrebbe una stanza per urlare. Una stanza fatta apposta per le grida, con della brutta carta da parati da strappare via dalle pareti solo per trovarne altra, ancora più brutta, a fare capolino tra gli squarci. Un po’ come fa il dolore, quando credi di piangerlo via e lui invece si gonfia come una spugna nutrendosi delle tue lacrime, e non fa altro che sbucare da ogni squarcio del tuo cuore.
Ci vorrebbe una stanza con tanti mobili da spaccare, mobili forti, mobili duri, mobili che serve picchiare forte per terra o contro il muro per spezzarli.
E’ una sera così, come tante altre ne sono venute prima, come tante altre ne verranno, senza che se ne riesca a tenere il conto, senza che si capisca bene dove metterle nell’arco del tempo vissuto perché, in qualche modo distorto, sembrano non farne parte, sembrano uscirne, sembrano esistere in una dimensione che non è fatta di realtà. Per questo, ci vorrebbe una maledetta stronza stanza da distruggere, per questo. Perché se si è fuori dal tempo, allora conviene essere anche fuori dallo spazio, altrimenti si rischia di impazzire. Si rischia di credere che non è vero quello che proviamo, che non lo stiamo sentendo davvero, forte come un uragano, spingere da dentro le pareti della nostra anima.
Ci vorrebbe una stanza, stasera, dove sentirsi a casa. Anche con la carta da parati a brandelli, anche con i mobili fatti a pezzi, anche con la gola in fiamme per le urla, anche con gli occhi arroventati.
Lì dentro si consumerebbe il fuoco della rabbia, e lì rimarrebbe la cenere.
Ci vorrebbe una stanza dove lasciare la cenere, fuori dal tempo, appena un po' oltre lo spazio, dove lasciare la cenere, perché questa… questa è una di quelle sere.

venerdì 21 settembre 2012

Le Perle di Daniel Pennac - #3


L'uomo costruisce case perché è vivo, ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun'altra, ma che nessun'altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcune spiegazione definitiva sul suo destino, ma intreccia una fitta rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.
(Daniel Pennac - Come un Romanzo)

domenica 16 settembre 2012

Le Perle di Shakespeare - #1

The friends thou hast, and their adoption tried,
grapple them to thy soul with hoops of steel,
but do not dull thy palm with entertainment
of each unhactch'd, unfledged comrade. Beware
of entrance to a quarrel; but, being in,
bear't that the opposed may beware of thee.
Give every man thine ear, but few thy voice;
[...] Neither a borrower nor a lender be;
for loan oft loses both itself and friend,
[...] this above all: to thine own self be true,
and it must follow, as the night the day,
thou canst not then be false to any man. 

Gli amici che hai gà, e di cui hai messo a prova l'adozione, tienteli ben aggrappati alla tua anima con doghe d'acciaio, ma non render callosa la tua palma a furia di stringer quella d'ogni camerata che non sia ancora uscito dal suo uovo, e sia immaturo all'amicizia.
Sta attento a non entrare in una lite, ma se ti ci dovessi trovare immischiato, conducila in modo che il tuo nemico debba stare lui attento a te.
Concedi ad ognuno il tuo orecchio, ma a pochi la tua voce.
[...] Non prendere a prestito e non prestare, ché un prestito, spesso, perde se stesso e l'amico.
[...] Ma questo rammenta, sopra ogni altra cosa: sii leale verso te stesso, poiché dovrà seguirne, come la notte segue il giorno, che tu non sarai sleale verso nessuno.

(William Shakespeare - Amleto)


sabato 15 settembre 2012

Da nessuna parte



"The men who love you, you hate the most
They pass right through you like a ghost
They look for you, but your spirit is in the air
Baby, you're nowhere..."



Me lo ricordo, lo sai? Mi ricordo di te, mi ricordo quando mi avevi dedicato (cantandolo) questo pezzo. Eravamo seduti su una panchina della stazione, io seduta in mezzo alle tue gambe, appoggiata a te. Era inverno, era pomeriggio inoltrato e faceva freddo e buio, intorno a noi solo le luci dei bus che arrivavano e partivano, il vociare sommesso della gente che tornava da lavorare.
Eravamo così splendidamente giovani...così imbattibili.
Mi sono voltata per osservarti, quando mi hai detto che questa frase sembrava parlare proprio di me. Tu hai smesso di giocare con i miei capelli, quando mi sono voltata, e hai sollevato le mani in segno di resa inarcando le sopracciglia. Poi mi hai baciata, forse per zittirmi, forse per parlarmi. Forse tutt'e due le cose insieme.
E allora sono stata zitta, e ho ascoltato.
Volevo dirti che, anche se da molti anni non so più dove tu sia e cosa stia facendo della tua vita, io di te mi ricordo. Mi ricordo di quel bacio... e di tutti gli altri. Mi ricordo di averti fatto soffrire, di essermene andata via, come faccio sempre quando sento una persona innamorarsi di me e quando mi accorgo di amarla anch'io. Mi ricordo dei nostri passi insieme di quell'inverno e non solo, mi ricordo delle emozioni, una per una, che abbiamo vissuto. Mi ricordo di quella panchina, della tua bellissima voce che cantava sommessa le parole di questa canzone che amavo da sempre...
Ora non puoi baciarmi per zittirmi, e allora te lo dico: avevi ragione. Lo sapevi già, lo sapevo anche io. Io scappo, scappo da chi mi ama, scappo da chi amo. Eravamo molto giovani, ma tu lo avevi già capito. Altri, dopo di te, non lo hanno mai fatto.
Ti ringrazio, per avermi lasciata andare via senza cercare di trattenermi, ti ringrazio di avermi vista, di avermi lasciata essere da nessuna parte perché ne avevo bisogno. Ti ringrazio di avermi insegnato ad ascoltare.
Molti anni dopo, alcuni amori dopo, amori veri e maturi, io non sono ancora da nessuna parte. Nessuno è riuscito a fermarmi, nessuno è riuscito a darmi un luogo e braccia in cui rimanere.
Io, continuo a scappare...
Io continuo a non essere da nessuna parte.

venerdì 14 settembre 2012

Le Perle di Stephen King - #2

Si sveglia da questo sogno incapace di ricordare esattamente che cosa fosse, a parte la nitida sensazione di essersi visto di nuovo bambino. Accarezza la schiena liscia di sua moglie che dorme il suo sonno tiepido e sogna i suoi sogni; pensa che è bello essere bambini, ma è anche bello essere adulti ed essere capaci di riflettere sul mistero dell'infanzia... sulle sue credenze e i suoi desideri.
Un giorno ne scriverò, pensa, ma sa che è un proposito della prim'ora , un postumo di sogno. Ma è bello crederlo per un po' nel silenzio pulito del mattino, pensare che l'infanzia ha i propri dolci segreti e conferma la mortalità e che la mortalità definisce coraggio e amore. Pensare che chi ha guardato in avanti deve anche guardare indietro e che ciascuna vita crea la propria imitazione dell'immortalità: una ruota.
O almeno così medita talvolta Bill Denbrough svegliandosi al mattino di buon'ora dopo aver sognato, quando quasi ricorda la sua infanzia e gli amici con cui l'ha vissuta.
(Stephen King - IT)

giovedì 13 settembre 2012

Le Perle di Daniel Pennac - #2


La maggior parte delle letture che ci hanno modellati non le abbiamo fatte per, ma contro.
Abbiamo letto (e leggiamo) per proteggerci, per rifiutare o per opporci. Se questo ci dà un'aria da fuggiaschi, se la realtà dispera di raggiungerci oltre "l'incantesimo" della nostra lettura, siamo però dei fuggiaschi impegnati a costruirci, degli evasi intenti a nascere.
Ogni lettura è un atto di resistenza"
(Daniel Pennac - Come un Romanzo)

mercoledì 12 settembre 2012

Le Perle di Daniel Pennac - #1

Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l'ampiezza del disastro.
Con queste misure davanti agli occhi, la giornata sarebbe migliore, l'illusione bandita, il paesaggio chiaramente delineato. Ma se si pensa alla propria sventura tra due forchettate, con l'orizzonte ostruito dall'imminente ripresa del lavoro, si prendono delle cantonate, si valuta male, ci si immagina messi peggio di come si sta. Qualche volta, addirittura, ci si crede felici.
(Daniel Pennac - Il Paradiso degli Orchi)










martedì 11 settembre 2012

11/09/2001 - 11/09/2012

Ormai esiste un prima e un dopo 11 settembre, perché da lì, che lo vogliamo o no, la storia ha cambiato rotta.
In America dicono: "Tutti ricordano dov'erano e cosa stavano facendo l'11 settembre 2001."
Me lo ricordo anch'io.
Quel giorno ero a casa, stavo guardando uno dei film commedia che davano nei pomeriggi di fine estate. l'edizione speciale del telegiornale ha spaccato la calma sonnacchiosa e pigra e, nel giro di poche immagini , di poche concitate frasi, ci ha gettato tutti all'inferno.
Spesso mi sono trovata a dire che quello è stato il giorno in cui ho avuto più paura in tutta la mia vita. Non riuscivo a smettere di guardare il cielo azzurrissimo e terso (era una giornata splendida, me lo ricordo bene) e chiedermi cosa sarebbe successo, chi sarebbero stati i prossimi...eravamo in guerra...era chiaro. Una guerra subdola e infinita che non avrebbe più cessato di mietere vittime nella quotidianità della vita.
Da allora, tutti siamo cambiati, anche se non ce ne rendiamo conto.
Abbiamo cominciato a guardarci intorno con più sospetto, ad avere paure che prima non avevamo, a non fare quasi più caso alle notizie di attacchi terroristici che fanno esplodere migliaia di persone come se fossero palloncini a una festa macabra. Ci siamo abituati a vedere sangue nei telegiornali, e brandelli di corpi malcelati sotto teli improvvisati mentre consumiamo le nostre cene dialogando del più e del meno... quel che è peggio, però, è che ci siamo abituati ad avere paura. Non ci facciamo nemmeno più tanto i conti, ormai, tanto è parte di noi. Forse, non si può più nemmeno chiamare paura ma estremo fallimento, estrema delusione, verso questo mondo che peggiora di giorno in giorno come un malato terminale che ci sforziamo di tenere in vita.
Oggi voglio dire anch'io che non dimentico. Lo voglio dire al mondo della rete, dove ogni giorno si sviluppano e consumano piccole guerre cruente fatte di parole e giudizi e accuse. Lo voglio dire e gettare in questo intricato insieme di voci, volti e mondi nascosti dietro a milioni di milioni di schermi di Pc.
E voglio dirlo anche a me stessa, che non mi sono dimenticata di quel giorno, ma mi sono dimenticata di come ero prima.
E che questo è grave.
Tremendamente grave.
Ogni cosa che ci toglie una parte di noi, è tremendamente grave. Ogni cosa che ci mette paura, è tremendamente grave. Ogni cosa che ci fa guardare intorno e sentire un brivido addosso, un brivido insano e ghiacciato, è tremendamente grave.
Ed è tremendamente grave che ce ne dimentichiamo, che ci servano date e ricorrenze per ricordarci di ciò che ci è stato sottratto per sempre.
Vorrei riuscire a credere che un giorno, magari non troppo lontano, questo mondo guarirà. Miracolosamente si riavrà dal cancro che gli abbiamo procurato con i nostri animi corrotti e sporchi, e tornerà a splendere dell'amore di cui era pregno quando ci fu affidato... ma non riesco più.
Allora prego, senza pensare, senza concedermi di sperare, per chi non c'è più , per chi quel giorno è morto senza motivo, e per chi è morto senza motivo mille e mille anni prima, o il giorno prima, o il giorno dopo, o anni dopo, per chi morirà, senza motivo, da qui all'eternità.
E prego per chi rimane, per chi cerca di fare e dare del proprio meglio in questo mondo malato e infame, anche quando non ci crede più. Per chi non smette di sorridere alla fermata del tram, per chi non ruba agli altri e nemmeno a se stesso, per chi non uccide né corpi, né anime, né speranze. Per chi continua, malgrado tutto, anche se con più paura, a guardare il cielo.
Io non dimentico, ecco tutto.
Non posso proprio dimenticare.