domenica 22 marzo 2015

Libera recensione - I miei occhi fanno click, Luca Di Miceli


Quando qualcosa è diverso da tutto il resto, quando qualcosa si distingue, lo capisci subito.
Ed è difficile spiegare come o da che cosa lo capisci, che cosa realmente te lo dice. È difficile perché le emozioni non trovano giustizia nelle parole, quasi mai.
Ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere questo libro e questa meravigliosa raccolta di fotografie nei giorni in cui stava prendendo forma, mentre ancora era un progetto, e credevo che trovandomelo poi tra le mani completo, pronto, edito, non avrebbe poi fatto una grande differenza; dopotutto le immagini io le avevo già  viste, almeno in parte, e mi avevano già stupita e molto emozionata.  Non avrei provato nulla di nuovo, pensavo… ma invece mi sbagliavo.
Avrei dovuto immaginarlo, in fondo, i libri sono quasi sempre magia. Lo sono ancor di più se contengono qualcosa che va oltre a quello che leggi o vedi in superficie: ci sono scrigni vuoti, e scrigni stracolmi di tesori.


“I miei occhi fanno click” è, senza alcuna ombra di dubbio, uno di quelli che di tesori non è “soltanto”  ricolmo, ne è persino INTRISO.
In questo mondo di social network e di condivisioni infinite, in questo oceano di fotografi improvvisati e approssimativi, schiavi di filtri e ritocchi, esiste ancora l’eccezione, il talento, l’arte, che dal mare si distingue e si separa; che guarda, vede, ancora prima di scattare. Che scruta e scopre, si meraviglia… e ci lascia meravigliare di quello che trova.
Queste sono istantanee che indirizzano lo sguardo, che non finiscono il loro “lavoro” nemmeno dopo che hai smesso di guardarle. Sì, funziona così, credo, con alcune fotografie, o quantomeno funziona così con queste:  non smetti mai di guardarle, ti entrano dentro e ti suggeriscono cosa guardare e come guardarlo; cosa inseguire, cosa non lasciarti sfuggire la prossima volta che avrai la fortuna di incrociare sul tuo cammino un fotogramma di vita vera che rischia di scappare via per sempre, come gli attimi più belli (o a volte amari e dolorosi) che non riusciremmo a descrivere nemmeno con mille parole.
Per alcune emozioni servono le immagini, c’è poco altro da dire o aggiungere.
Per alcune emozioni serve chi ci indirizzi lo sguardo, come un dito invisibile puntato verso qualcosa di prezioso che, se non stiamo abbastanza attenti, non riusciremmo mai, davvero mai, a vedere.
Beh, grazie, Luca… Adesso abbiamo capito dove guardare. Non smettere di indicarcelo, però, quel mondo che vedi e ti parla, un attimo prima che i tuoi occhi facciano click.  

domenica 15 marzo 2015

C'era una volta, eppure, c'è ancora



C’era una volta e se ci credi c’è ancora…
La vita che passa non ruba ma da, te l’han detta da giovane, questa roba qua.
C’era una volta e, se ti volti, c’è ancora.
Là in fondo che aspetta, là, laggiù, seduta senza fretta…
L’immagine di te sorridente, l’immagine di quello che è stato, l’immagine felice del passato.
Ti guarda avanzare, lo sa, lo sa che lì, tu, non ci puoi tornare.
C’era una volta e, se lo senti, c’è ancora.
Se senti il rumore, se senti il profumo, se senti la forza, la voglia che avevi…
La voglia di cosa? La voglia di ridere, poi quella di vivere, la voglia di correre e quella di amare, la voglia di andare, assaggiare e guardare…
C’era una volta, sì, e se ci pensi, c’è ancora.
Lo sguardo di prima nascosto in quello di adesso; i giovani occhi che brillano celati da quelli più vecchi; i tacchi più bassi, le scarpe più larghe, la testa più bianca, sul viso le rughe…
C’era una volta, eppure, c’è ancora.
Anche nel passo di questo bastone; la mente non cambia quasi mai direzione… lo crede ma torna, torna laggiù.
Laggiù dove vive, vive da sempre, laggiù dove esiste l’estate più blu.
E blu erano gli anni, blu sono i ricordi, blu i cieli azzurri dai vaghi contorni…
Blu i passi veloci, blu i rumori dei baci precoci; 
blu le strette di mano, blu l’invitante sferragliare del treno…
Il treno che hai perso, il treno che hai preso… il treno che parte… il treno che va…
C’era una volta e se ci credi c’è ancora…
La vita che passa non ruba ma da; ci credi davvero? Ci credi, da qua?
C’era una volta, ma certo… c’è ancora… nascosta bene in quella dimora…
Quella dell’anima, quella del cuore, quella che nessun ladro può svaligiare.
C’era una volta, credici ancora.
E’ nascosta ma c’è, lo vedi? Repira…
Respira la vita, respira l’amore, respira il ricordo di quella passione…
…anche nel passo di questo bastone. 

IMMAGINE DI PROPRIETA' DI Luca Di Miceli:

sabato 14 marzo 2015

Libera recensione del libro "Colpa delle stelle", John Green

Colpa delle stelle, John Green
Mi sono imbattuta in svariate recensioni negative su questo "Colpa delle stelle", fortunatamente tutte dopo averlo letto.
No, non sono una lettrice facilmente influenzabile, non lo sono come persona, in generale, ma leggere prima determinati commenti, forse, avrebbe potuto riuscire a non farmi vedere chiaramente il coraggio di questo libro.
E invece l'ho visto.
L'ho visto questo coraggio, e mi è piaciuto.
Sì, forse alcune volte pecca di sfrontatezza, possiamo ammetterlo... esiste coraggio e coraggio, dopo tutto. Mille sono le sfumature che compongono il mondo in ogni suo aspetto, lo stesso vale per ogni caratteristica, pregio o difetto, che la realtà ci attribuisce.
Bé, il coraggio di questo libro non poteva che essere sfrontato, questo è quello che penso.
Ci vuole coraggio sfrontato per dire, ad esempio "Sugli opuscoli che parlano di tumori o nei siti dedicati, tra gli effetti collaterali del cancro c'è sempre la depressione. In realtà la depressione non è un effetto collaterale del cancro. La depressione è un effetto collaterale del morire. (Anche il cancro è un effetto collaterale del morire. Quasi tutto lo è, a dire il vero)." oppure per affermare "E se l'inevitabilità dell'oblio umano ti preoccupa, ti incoraggio a ignorarla. Sa il cielo se non è quello che fanno tutti." Ci vuole coraggio sfrontato, d'altra parte, per parlare con "leggerezza" (una leggerezza che ha poco a che fare con la speranza, quanto più, invece, con l'accettazione) della storia d'amore tra due adolescenti malati terminali di cancro. Che altro, se non questo? Parlare della vita in mezzo alla morte non è semplice, è questo a rendere in qualche modo speciale questo libro. Ci vuole coraggio sfrontato, per forza, e a volte anche un briciolo di violenza. Violenza sorprendente, quella che in alcuni tratti del libro ci colpisce; come un pugno dopo una carezza dolcissima, o un'improvvisa corrente ghiacciata mentre siamo immersi in un mare caldo e calmo.
Non aggiungo altro, se non che amo i libri coraggiosi e sfrontati. Amo la "violenza" con la quale alcune parole, mescolate ben bene alle altre, invitano a riflettere velocemente e senza la possibilità di preparare la mente al pregiudizio e alla rappresaglia morale. 
Il resto, tutto il resto (ed è un bel "resto"), ve lo diranno Gus e Hazel.
Fossi in voi, li ascolterei.

Buona lettura.

Da Colpa delle stelle - John Green (oltre agli stralci sopra citati): 

"L'osteosarcoma a volte ti prende un arto per scoprire chi sei. Se poi gli piaci, si prende il resto."

"Non gli ho detto che la diagnosi era arrivata tre mesi dopo la mia prima meatruazione. Tipo: Congratulazioni! Sei una donna. Adesso muori."

"Mi piaceva che fosse un docente del Dipartimento dei Sorrisi Leggermente Truffaldini con una nomina anche presso il Dipartimento dell'Avere una Voce Che Fa Sentire la mia Pelle come una Vera Pelle."

"-Senza dolore come possiamo conoscere la gioia?-, E' una vecchia argomentazione nel campo della Riflessione sulla Sofferenza, e la sua stupidità o scarsa sottigliezza potrebbe essere sondata per secoli, ma basterà dire che l'esitenza dei broccoli non influisce affatto sul sapore della cioccolata."

"Ogni salvezza è temporanea. [...] ho fatto guadagnare a quei bambini un minuto. Forse è il minuto che consentirà loro di vivere un'altra ora, e l'ora regalerà un anno ancora. Nessuno può donarti l'eternità, Hazel Grace, ma la mia vita ha garantito loro un minuto. Ed è meglio di niente."

"...ma tutti dovrebbero avere un vero amore, e dovrebbe durare almeno quanto dura la tua vita."

"Aveva combattuto duramente, [...] come se si potesse combattere in un altro modo."

"Credo che a questo mondo si possa sempre scegliere come raccontare le storie tristi, e noi abbiamo optato per la versione divertente."

giovedì 12 marzo 2015

Le fiamme sussurrano



Nella penombra fresca della chiesa, dei passi leggeri spostano l’aria quel tanto che basta per far oscillare le fiamme dei lumini accesi di fronte all’altare. Tremano, le fiamme, impaurite di fronte a quell’improvviso mutare della realtà. Tremano e poi, lentamente, morbidamente, si riassestano in un leggero vibrare verso l’alto. Troppo leggeri, quei passi, per appartenere a qualcuno in grado di spostare abbastanza aria da spegnerle. La personcina che li ha mossi adesso sosta immobile di fronte alla distesa luminosa e tiepida di quei circoletti di plastica a cui è affidato il delicatissimo compito di proteggere la fiamma e la preghiera a loro assegnate.
E’ una bambina, A vederla non sembra avere più di sei anni.
Ha le braccia distese lungo ai fianchi, in una manina stringe compulsivamente una moneta.
Le sue piccole spalle si alzano, lasciano intendere un grande respiro e poi… giù, si riabbassano in un leggero alito d’infanzia. Qualche fiamma è scossa da quel soffio delicato, lancia qui e là scatti di luce, poi si ricompone.
La bimba allunga la mano e pesca da un contenitore di legno un lumino nuovo e candido, un lieve profumo di cera per un attimo si libera e prova a farsi sentire ma svanisce ancor prima d’essere afferrato del tutto. La mano col cero alzata a mezz’aria, l’altra a stringere la moneta, la bambina riflette bene su dove posizionare la sua preghiera speciale; ci impiega qualche attimo e poi si spinge sicura oltre il bordo, stando attenta a non bruciare il vestitino della festa, per riuscire a raggiungere il lato più vicino all’altare. Deve essere sicura che la sua fiamma si veda, si veda bene, da dove guarda Dio.
Lo posa soddisfatta e raccoglie un bastoncino bruciacchiato disteso tra le file di lumini accesi. Lo intinge nella cera liquefatta di uno di quelli più consumati, lo passa sulla fiamma e il bastoncino prende fuoco senza fatica alcuna. Gliel’ha detto la nonna, di fare così. Altrimenti si rischia di non riuscire ad accenderlo per bene. Sta per dirigere il bastoncino verso il picciolo del suo cero quando improvvisamente si accorge di non aver inserito la moneta nella raccolta delle offerte. Si affretta a farlo e un rumore metallico risuona per tutta la navata svegliando qualche fiore addormentato nei vasi dimenticati davanti alle statue dei santi.
Ora può accendere la sua candela, e la bimba lo fa.
Poi scuote il bastoncino che si spegne liberando un filo di fumo grigio e, solennemente, comincia la sua preghiera. 
Sono poche parole, metà pensate e metà bisbigliate di corsa, quelle che riescono a prendere forma davvero… occorre solo qualche manciata di secondi prima che la bambina cominci a tremare.
Le sue spalle sussultano, le manine si stringono l’una nell’altra, un singhiozzo scappa fuori più veloce e sincero della voce e il rumore che fa non ha bisogno di fiamme, per essere guardato dal Cielo.
La bimba alza lo sguardo verso l’altare, non parla, lascia alla fiamma il compito di spiegare a Dio il motivo delle sue lacrime e della paura che sente muoversi dentro di lei come un ruscello ghiacciato.
Lei lo sa, che lo farà. Sa che la fiamma non si spegnerà fino a che non sarà stato tutto detto, e tutto chiaramente.
Lei lo sa, ma piange lo stesso, mentre soffia un bacio verso l’altare e accenna un goffo inchino.
Leggera com’è venuta, la bambina se ne va.
Le fiammelle si spostano, le fiammelle tremano, si guardano tra loro e vibrano.
Le fiammelle scaldano, le fiammelle sussurrano, le fiammelle illuminano l’altare.
Le fiammelle rimangono lì, a togliere l’ombra della paura o a provarci.
Le fiammelle diranno tutto, tutto chiaramente, a loro è affidato il compito di pregare. 

Immagine di proprietà di Luca Di Miceli: