mercoledì 5 settembre 2018

Una cura per poter vivere

Il titolo dice tutto "Una cura per poter vivere", e già questo dovrebbe bastare, ma non basta mai... bisogna sempre aggiungere qualcosa, altrimenti non si va oltre, non si legge, non si va a fondo se non con le notizie gossip, se non con gli scandali.
Beh, questo E' uno SCANDALO.
Laura è una mia amica. Un'amica VERA, un'amica con la quale sono cresciuta, fianco a fianco, sin da bambina. Un'amica che ha 37 anni e due bambini e ha un cancro. Lo so, vi ho già raccontato la sua storia, ma come tutte le storie, insieme al tempo che passa si trasformano, salgono e scendono come montagne russe e, adesso, il treno della "giostra" spaventosa su cui si trova da due anni sta correndo pericolosamente verso il basso.
Da cosa è fatto, questo basso? E' fatto di cure che non hanno dato i risultati sperati e, soprattutto, di tempo che scarseggia.
Laura è una donna e una madre e un'amica e una figlia, e io ho vissuto "accanto" a lei gli alti e i bassi, le decisioni importanti, la sua continua e tenace voglia di non lasciare incompiuto nessun tentativo: Laura ha continuato a cercare e informarsi.
E non si tratta di un capriccio, non si tratta di un sogno o un progetto, che sono degni di lode, certo, ma non tanto quanto salvarsi la vita.
Perché è questo, che stiamo cercando di fare con questa raccolta fondi: salvarle la vita e provare a farlo un fretta. Le mosse di quell'animale che si chiama cancro non sono prevedibili e, adesso, è uno di quei momenti sospesi e decisivi.
IO CHIEDO A TUTTI I MIEI CONTATTI DI IMPEGNARSI.
Aprite questo link, LEGGETELO.
DONATE. DONATE QUELLO CHE POTETE MA DONATE!

P A R L A T E N E.
Parlate con i vostri contatti sui vostri social. CONDIVIDENDO E INVITANDO A DONARE.
Parlate con i vostri amici, colleghi, parenti, e DONATE e invitate a DONARE.
Passate parola, vi prego, passate parola a chiunque conosciate.
Raccogliamo quanto più possiamo, quanto più IN FRETTA possiamo.
In gioco c'è la vita.

Per chi lo preferisse, può donare anche tramite bonifico intestato a LAURA MARINGONI all'iban : IT48D0200846870000105014750. 
Specificate nella causale "DONAZIONE".

lunedì 3 settembre 2018

Perché Tu, ti sento, ridi con me...

Comacchio, Emilia Romagna - Italy 
In questo intricato percorso di tunnel e strade aperte e incerte, Dio, io non smetto di cercarti. So che lo sai, so che lo sai ogni volta che alzo lo sguardo verso di Te e ti urlo contro perché non capisco, proprio non ci riesco, quello che vedo a questo sporco mondo. Sai che le preghiere che dico non somigliano quasi mai a quelle che di solito insegnano, sai che ho un cuore che vuole correre, sai che ho il respiro corto e una molla dentro che mi spinge a fare tutto quello che faccio e...so che ridi, ogni tanto, con me. Lo so perché ti sento farlo, nelle giornate di luce e di cieli cristallini, così come nelle esplosioni dei tuoni. Oh sì, ti sento ridere, Dio, anche dei miei dubbi. Ma non del mio dolore, non di tutto il dolore che sento e che non è solo il mio e che a volte diventa troppo da sopportare e allora mi arrabbio...e con chi, se non con Te? Te che non ti spieghi, Te che non ho capito dove ti vai a nascondere certe volte o se a nascondermi sono io. So che il mondo è al buio, e io vorrei accendere la luce perché ci stiamo facendo proprio troppo male, quaggiù.
In questo intricato percorso di tunnel, Dio, io ti chiedo solo di non smettere di credere in me...e io non mi perderò mai. Solo ti prego, ti prego trova il modo di rispondere almeno a un paio delle mie domande, solo a un paio, e andrò avanti per un bel po' ancora. Andrò avanti come sempre, tra le urla e gli abbracci e i baci lanciati verso di te. Ti lancio tutto, Dio, lo sai. E io sono questa testa strana qua, che conosce le ombre e la luce e sceglie sempre di seguire quello che le fa battere il cuore un po' più forte perché, in fondo, anche quello è un tuo modo di parlare.
Ecco, tutto qui, Dio. Volevo solo dirtelo. Che non mi sono persa, che mai mi perderò, che sono ancora qua, che sono ancora io e continuerò ad essere io, che non sarò mai uguale a migliaia di altre persone, che non avrò mai il loro stesso pensiero (spaventosamente uguale, spaventosamente falso, spaventosamente morto) ma che continuerò ad avere il mio e che...no, io ancora non l'ho trovato quello che sto cercando.
Ma so che Tu lo sai.
Perché Tu, ti sento, ridi con me

mercoledì 22 agosto 2018

22/08/18, I SOGNI RI(N)CORRENTI

Ho da sempre fatto sogni molto vividi, ricchi di sensazioni e immagini. Non si sono mai fermati alla notte, mi strisciano addosso per ore e ore anche dopo la sveglia e non è sempre una bella cosa. In questo caos, mi appartengono uno o due sogni ricorrenti che mi perseguitano sin da bambina, ma ultimamente se n'è aggiunto un altro.... l'ho capito dalla prima volta in cui si è manifestato che non mi avrebbe abbandonata mai. Perché da subito, loro, i sogni ricorrenti, ti dicono che ti hanno trovata e che nella tua mente, per qualche strana ragione, ci stan belli larghi e comodi. Hanno uno spessore diverso, vibrano di un'energia più densa e, soprattutto, sanno perfettamente chi sei e di cosa hai paura o bisogno, a seconda del fatto che vogliano perseguitarti o provare a guarirti.
Quello di cui parlo oggi, quello che anche stanotte mi ha rincorsa e trovata è uno di quelli che perseguita e lo sa fare bene ed è fatto, principalmente, di acensori. E no, non ascensori qualunque; questi viaggiano da sopra a sotto e viceversa, ma anche da destra a sinistra o in diagonale, su rotaie e ingranaggi di ogni tipo. Escono all'esterno delle strutture, passano da un edificio all'altro ma sono sempre troppo lenti... i loro percorsi vengono continuamente deviati o rallentati, non mi portano mai dove dovrei andare se non quando ormai è troppo tardi e, allora, mi ritrovo al buio in un posto sconosciuto e confuso. E poi sono traballanti. Instabili. Molte volte non hanno pareti, ma solo pavimenti obliqui.
Quello di stanotte era l'ascensore di un ospedale grande quasi quanto una città, una città antica, questo si capiva dalle guglie che intravedevo mentre l'ascensore mi trasportava attraverso corridoi dalle pareti di vetro che si infilavano dentro e fuori le mura come il filo dietro all'ago da cucito di un gigante.
Sapevo bene dove dovevo andare, ma sapevo anche che me ne stavo allontanando. E cercavo di fermare le persone mentre salivano, gli chiedevo per favore di aspettare la prossima corsa, ma era tutto inutile... le loro destinazioni arrivavano sempre prima della mia.
Da sola, dopo un lungo tratto lento e al buio, sono finalmente scesa da quel cubo mobile.
Le urla e la confusione mi hanno avvolta in un abbraccio, nonostante i corrodi fossero deserti e spenti.
Urla incomprensibili, confusione di parole, lamenti.
Erano le voci dei pazienti.
In fondo al corridoio una stanza accesa, sapevo che sarei dovuta entrare là, per andare a trovare chi aveva bisogno di me. Dietro, la bocca dell'ascensore era aperta e sembrava quasi respirare con un alito tiepido. "Cosa fai?", sembrava chiedermi, "Vai o torni, bambina?".
Vado.
E un passo dopo l'altro mi sono diretta verso l'unica luce accesa dove sapevo che ad aspettarmi c'era qualcosa di spaventoso.
Spaventoso come la mente quando perde il controllo; spaventoso come le persone con gli occhi ridenti su volti stanchi; spaventoso come le cantilene allegre e i battiti di mani in piena notte, quando tutti dormono o dovrebbero dormire.
Spaventoso come i ricordi che ti rincorrono, i sogni che ricorrono e gli ascensori che ti mangiano.
Sapevo che saresti tornato, maledetto sogno carnivoro.
Sapevo che saresti tornato e ritornerai.

domenica 1 luglio 2018

C'è un posto dove saremo per sempre. (...è un momento che batte le otto del mattino)

...che per esempio c'è un posto, e per tutti è diverso, dove saremo per sempre. Un posto e un momento che ci inseguono come la nostra ombra, e che saltano fuori proprio quando non te lo aspetteresti mai. Sono il posto e il momento dove abbiamo sofferto di più, o magari dove siamo stati travolti dalla nostra gioia più grande o dalla più immane paura o tutte e tre le cose insieme o da mille altre mutevoli cose. Non cercate di dire di no, ognuno di noi lo ha. E' dentro, profondamente dentro di noi, così dentro che più dentro non si può, ma c'è. Forse, può darsi che siano più d'uno... come certamente più d'uno sono i mattoni di una casa, i gradini di un'alta scala... Ma non tantissimi. Sono pur sempre mattoni o gradini speciali. In un libro che ho letto recentemente, l'autore li definisce "scampoli" di vita. E' bella anche questa definizione. No, inutile che ci pensiate a mente lucida, questi mattoni hanno ben poco a che fare con la ragione... dal momento in cui nascono si radicano al centro del petto, non voglio dire che siano vicino al cuore ma, tant'è, la posizione sembra essere proprio quella. Come ho detto, saltano fuori all'improvviso, mentre siete in posta, magari, o mentre parlate con un vostro vicino, mentre tornate a casa la sera e ve ne state seduti in macchina con lo sguardo imbambolato nel vuoto aspettando che il cancello automatico si apra per poter entrare in box... Solitamente è qualcosa che non abbiamo condiviso con nessuno o quasi con nessuno perché risulta difficile trovare le parole per definirlo. E, bé, uno dei miei mattoni, dei miei gradini, uno dei miei scampoli oggi è saltato fuori... E' un momento che batte le otto del mattino, all'incirca, ed è estate. Un'estate di tantissimi anni fa. E' un momento in cui ho voltato un angolo, con la gola annodata in un magone sconosciuto e nuovo e la luce del sole di prima mattina mi ha colpita dritta in faccia come un pugno di caldo sciroppo al miele... Ero da sola, e quel tipo di strana stretta al petto non la conoscevo ancora, prima di allora. Non voglio dire altro, perché gli scampoli in qualche modo vanno anche un po' protetti. Solo che era estate, erano le otto del mattino, c'era il sole e avevo in mente questa canzone, mentre cercavo di riprendere a respirare... e l'avrei avuta in mente per giorni e giorni.
Tutto qui...

mercoledì 20 giugno 2018

Gli Ipocriti

Gli ipocriti sono come panni stesi, male, al buio di un vicolo.
Non profumeranno mai di sole e di aria pulita, nonostante i loro sforzi.
Il puzzo di ombra e umido rimarrà loro addosso come una firma.
Perché stare al sole è rischioso, e loro non amano il rischio...
Perché stare al sole richiede coraggio e fatica, e loro sono vigliacchi pigri.

venerdì 25 maggio 2018

Dovevo trovare il modo di dirti addio, papà...

Un ricordo. Uno di quelli forti, uno di quelli sepolti e che, ogni tanto, rimescolati nel calderone degli eventi, tornano a galla e ribollono un po'. Se li assaggi, e non ti ricordi di soffiarci bene bene sopra, ti scotti.
Stasera sono stata incauta e ho assaggiato un po' di quel ricordo frettolosamente, senza prepararmi. Mi sono bruciata e adesso mi brucerà per un bel po' ancora.
Una stanza d'ospedale, la luce fioca della lampada sopra il tuo letto e il tuo viso, papà, appoggiato sul cuscino e girato verso di me, seduta accanto al tuo letto.
Era il giorno prima o forse due prima che morissi, avevo in mano un bicchiere d'acqua e te lo porgevo, ogni tanto, con una cannuccia infilata dentro da cui tu bevevi qualche piccolo sorso.
Mi guardavi. Tanto. Mi guardavi e basta e io guardavo te.
A un certo punto hai allontanato con la mano la cannuccia e mi hai fatto segno di appoggiare la mia testa sul cuscino. Io l'ho fatto. E siamo rimasti così per tanti lunghissimi minuti. Volevo che il tempo passasse lentamente e, alcmeno in questo (e a ben vedere in molto altro) Dio mi ha accontentata.
Avevo paura. Una paura muta, sorda e pulsante. Una paura metallica. E tu lo sapevi. Ora l'ho capito. Mi hai guardato e allora io quel tuo sguardo non potevo capirlo fino in fondo, l'ho soltanto bevuto fino all'ultima goccia perché sapevo che mi saresti stato concesso ancora per poco. L'ho intuito, sì, ma adesso, solo adesso l'ho compreso del tutto. Avevi paura anche tu, e non solo per te, ma anche per me, per noi, per la tua famiglia che eri costretto a lasciare così presto.
Hai lottato come un leone, papà. Hai rubato il tempo alla morte, pur di regalarci ancora qualche mese. Hai vinto mille battaglie e lo hai fatto per noi. Ma sei morto spaventato, papà. Avevi paura non della tua morte, ma della nostra vita senza te. In quei minuti me l'hai detto, silenziosamente. Me l'hai detto guardandomi con un paio d'occhi che non tremavano nemmeno lì, in quel letto d'ospedale. E io, appoggiata su quel cuscino, con il cuore a metà, ho detto a te che io non sapevo cosa ne sarebbe stato della mia vita, senza di te. Te l'ho detto, anche se non volevo. L'ho fatto perché ero piccola e non sapevo cosa bisogna fare quando qualcuno se ne va per sempre.
Dovevo trovare il modo di dirti addio e l'ho fatto.
Scusami, papà.
Scusami se una delle ultime cose che hai sentito è stato il mio grido d'aiuto. Scusami se non sono riuscita a nascondertelo ma se lo avessi fatto, probabilmente sarei esplosa in miliardi di pezzi.
Brucia. Brucia, quel ricordo. Quel cuscino su cui ti ho detto addio, quel dialogo di sguardi galleggia, adesso, dentro di me e mi fa un male del diavolo.
Ti amo, papà. E te l'ho detto troppo poco mentre eri qui perché a quell'età l'amore è strano e non ha nome né parole.
Tra poco me ne andrò da quella stanza d'ospedale e staccherò il mio viso da quel cuscino perché fa troppo male... ma sono una donna adesso e, prima di andare via, voglio farti una carezza e dirti quello che se fossi stata adulta allora ti avrei detto...
Vai, papà. Non avere paura per me.
Non avere paura per noi.
Vai, papà... non preoccuparti, sono forte abbastanza.
Vai...papà.
Dormi bene, dormi sereno... qui, andrà tutto bene.
E anche se non era vero, a te sarebbe servito.
Anche se non era vero, non saresti morto spaventato.
Anche se non era vero, forse, sarebbe bastato.

domenica 13 maggio 2018

Sei stata brava. Brava e forte

Mentre sto per alzarmi dal divano per appoggiare sul tavolo la tazzina di caffè mi arriva negli occhi il ricordo di un vecchio posacenere... L'avevo rubato in un bar insieme agli amici di allora, era azzurro e bianco, disegnato sopra campeggiava lo stemma colorato e sorridente di una nota marca di gelati. Mi chiedo vagamente che fine possa aver fatto, lui come tante altre cose, deve essersi rotto durante lo scorrere di qualche giorno passato.
Sorrido... ripenso alla serata in cui l'avevo rubato, al senso di colpa misto a eccitazione che avevo provato. Me la ricordo, bene, quella sera d'estate rovinata dal solito temporale.
Ripenso a quando lo riempivo di sigarette spente, negli anni in cui fumavo... e fumavo troppo. Ripenso, senza deciderlo, a quegli anni lì... quelli più duri, quelli che se me li avessero descritti prima di viverli io sarei fuggita via senza remore, spaventata a morte, convinta che non avrei mai e poi mai potuto affrontarli. L'immagine della mia mano che si abbassa avvolta nell'ultimo sbuffo di fumo soffiato fuori dalla mia bocca e spegne, sempre con troppa foga, la sigaretta nel posacenere azzurro e divertente... e poi quella stessa mano che sale e cerca la croce appesa al collo... e l'immagine di me che guardo la strada dal balcone, cercando come sempre una soluzione. Mi risiedo sul divano, oggi, a 37 anni, e porto con me la ragazza che ero, obbligandola a sedersi vicina a me e parlarmi perché non lo facciamo da un bel po'.
E se non ci parliamo è merito di un amore... un bell'amore arrivato quando ormai non ci credevo più e che, senza paura, mi ha preso la mano e ha cominciato ad accompagnarmi verso il futuro senza permettermi di guardare dietro, là, dove lei è rimasta a fissarmi. La guardo, adesso, quella ragazza con i capelli lunghi e color rame. Lei, guarda me. Le guardo le mani, sono più forti delle mie, il tempo passa... anche se non ci sembra vero. Più forti sono le braccia e le sue gambe infilate nei jeans strappati. Marina, fidati di me ragazza, hai fatto un bel lavoro, nonostante tutto. Hai fatto in fondo soltanto quello che hai potuto, con quel niente che ti hanno dato in mano e con quegli strappi che arrivavano di notte o di giorno, per farti gridare e stare male... Marina, hai fatto un bel lavoro. E lei annuisce, i suoi occhi sono più grandi, disegnate intorno hanno meno rughe ma i segni di quelle future si vedono già... Parlano chiaro di quello che ha vissuto e vivrà. Annuisce e prende una sigaretta, le unghie lunghissime e smaltate (una di loro ha un orecchino a cerchiolino infilato in un buchino fatto con la punta di un compasso) la sfilano dal pacchetto di chesterfiled light, la portano alla bocca e l'accendono. Respira il fumo, Marina, si scosta i capelli e li sbatte da un lato, poi mi sorride in un modo che conosco perché, ogni tanto, mi capita di farlo ancora. Allunga una mano verso il mio viso e ce l'appoggia addosso. Non è una carezza, e quasi una sberla lenta... lei, allora, non era capace di accarezzare né di lasciare che lo facessero con lei. Io, invece l'accarezzo e lei per un attimo si ritrae... Mi guarda stupita e le dico con lo sguardo che sì, ho imparato a farlo. Hai imparato, Marina, nonostante la vita. Hai imparato, anche se allora non lo sapevi. E in quel tocco tutto, tanto, risale su... milioni di immagini e di rumori. Migliaia di grida e sospiri; frammenti di conversazioni strozzate dal pianto, stralci di preghiere disperate; batticuore di paura, batticuore di adrenalina, batticuore di silenzi. Mani...mani al petto, mani a stringere le mie per farmi coraggio, mani a indicarmi, mani a condannarmi, mani chiuse a pugno contro le facce di chi per strada era mio nemico, mani strette a pugno di notte, impossibili da rilassare. Passi... passi di corsa, passi che si allontanano, passi che ritornano, passi di me che provo ad andare via.... valigie riempite a notte fonda, nella confusione più totale, porte sbattute, porte riaperte e richiuse. Rumore di chiavi, chiavi che chiudono una gabbia.
Marina mi guarda, piange. Lo fa come lo faceva allora, da arrabbiata. La bocca non le trema, lo sguardo è cattivo, gli occhi sono aperti e le lacrime scendono senza ostacoli ma la faccia non si arrende al pianto. Piange così soltanto chi viene mangiato dalla rabbia ogni secondo della sua vita e questo, Marina, allora non lo sapeva.
Mary, Bella, hai fatto un bel lavoro, davvero, nonostante tutto... E allora lei si addolcisce. Mary, Bella, hai vinto un milione di battaglie.
Mary, spegni quella sigaretta e guarda in faccia la donna che sarai. Non so quanto vivremo, ma adesso siamo qui, sedute sul divano io e te. Non avere rimpianti, non distruggerti l'anima, non rimproverarti troppe cose, assolviti... Assolviti.
Sparisce, quella Marina di tanto tempo fa, si dissolve sorridendo nonostante le lacrime... forse l'ho convinta...
Un attimo prima che sparisca le sue unghie aprono il pacchetto e lo avvicinano alla bocca. Pizzica con le labbra il filtro di una sigaretta e la sfila. Sorride, mentre l'accende mi fa l'occhiolino e io rido...
...e ride anche lei. Ride anche lei.
Forse fa in tempo a sentirmi mentre la ringrazio per avermi salvato la vita; per non essersi arresa mai, nemmeno quando diceva che lo avrebbe fatto.
Grazie, ragazza.
Sei stata brava e forte.
Grazie...
Grazie.

13/05/2017

lunedì 9 aprile 2018

Fuggite, donne.

Picture by Luca Di Miceli
Fuggite.
Fuggite da chi vi vuole dome, da chi vi vuole imporre cosa dire, come dirlo e quali parole usare;
Fuggite, donne, da chi si scandalizza per le vostre parole dure, da chi non capisce la vostra ira, da chi vi giudica per l'apparire e non per il vostro essere.
Scappate da chi crede di conoscervi, ma vi vuole uguali a tutte le altre; scappate da chi si spaventa di fronte alla vostra forza, da chi non comprende quanta durezza debba avere un fiore, per rimanere tale, quaggiù.
Scappate, da chi crede che la donna sia una gonna con un corpo dentro ma senza cervello un bel po' sopra la cintura.
Diffidate di chi crede che la volgarità sia nascosta nei vaffanculo e non nelle azioni; evitate gli uomini bisognosi di vedervi fragili e morbide, soltanto per poter sembrare più forti.
Liberatevi dalla gabbia, strappate le catene, sciogliete i capelli dalle code, svolgete le trecce, spettinatevi la testa e non abbiate paura di gridare, quando ne avete voglia.
E ridete.
Ridete in faccia a chi pensa di potervi sminuire, insegnare, comandare, dirigere, giudicare, imporre, educare, riordinare, redarguire, sono persone molto sole, di solito.
E imparate. Da chi non pretende di sminuire, insegnare, comandare, dirigere, giudicare, imporre, educare, riordinare, redarguire, sono le persone più vere, di solito.
Siete (siamo) creature selvagge, come i fiori non coltivati che hanno l'ardire di crescere nei prati incolti; come i cavalli che corrono con criniere lunghe sulle praterie inondate di sole; come l'acqua dei fiumi che scorre sopra le rocce prendendole in giro per la loro stupida staticità; selvagge come la risata spontanea, come le lacrime non silenziose, come le urla del vento, come le nubi in tempesta, come i tuoni che esplodono poco dopo il bagliore del fulmine... e come mille altre forze della natura che, di fronte alle sbarre (siano esse fatte di ferro, terra, abiti, pregiudizi, recinti) sorridono... e le attraversano

lunedì 2 aprile 2018

Ricette golose rivisitate in Low Fodmap - Muffin Pasquali

Picture by Luca Di Miceli
Mi rendo conto di essere andata un pochino sul lungo con i tempi, con questa ricetta: i muffin sono Pasquali e, oggi, è pasquetta (no, non volevo fare rime scontate ), ma credo che siano comunque una piccola bontà dal gusto piacevolmente primaverile, ottimo per la colazione o la merenda. Cercavo il modo di poter mangiare la colomba, o avvicinarmici, pur soffrendo di una malattia infiammatoria cronica (vedi qui, spiegazione nel primo post sul tema) e vagolando nel web mi sono imbattuta in questa bellissima e semplicissima ricetta che ho deciso, semplicemente, di tradurre in Low Fodmap.
Il risultato è stato ottimo, i dolcini sono venuti soffici e profumati e mi hanno fatto sentire un pochino meno sola al momento del dolce del pranzo di Pasqua.
Come sempre, la parola agli ingredienti e alla preparazione, buon divertimento e buon appetito!!

La ricetta originale indica gli ingredienti per 6 muffin, ma a me ne sono usciti 8 di medie dimensioni, anche perché preferivo un dolcino abbastanza piccolo che non riempisse troppo, e dunque:

- 180 g di farina di riso
- 80 g di zucchero semolato
- 60 g di burro (personalmente, in queste ricette, preferisco usare quello morbido da spalmare)
- 80 ml di latte di riso
- 2 uova
- scorza di un piccolo limone (mi raccomando accertatevi che la buccia sia edibile) 
- 50 g di farina di mandorle
- una manciata di canditi all'arancia
- 25 g di zucchero a velo
- circa 20 mandorle
- granella di zucchero
- 1/2 bustina di lievito

1) unite 25 g di farina di mandorle, 25 g di zucchero a velo e un albume e mescolate bene fino ad ottenere un composto cremoso omogeneo e senza grumi, poi mettetelo in frigo: servirà per la glassa.

2) montate con le fruste elettriche burro e zucchero, poi aggiungete il tuorlo avanzato dall'albume utilizzato in precedenza e l'uovo intero.

3) passate alla frusta a mano (io mi sono trovata bene e ho fatto così, ovviamente siete liberi di procedere nel modo che ritenete più opportuno) e aggiungete la farina di riso e la restante parte di farina di mandorle, entrambe setacciate. Amalgamate bene l'impasto.

4) Una volta che il composto si presenta morbido e omogeneo, unite la scorza del limone, i canditi, il lievito setacciato ed il latte di riso; continuate ad amalgamare bene il composto.

5) riempite i pirottini (io utilizzo quelli in stagnola per la cottura, poi li trasferisco in quelli decorativi una volta pronti e raffreddati) per poco più di metà e aggiungete sopra ad ogni muffin un cucchiano di glassa (sì, proprio quella che avevamo messo in frigo a riposare).

6) in ultimo, distribuite su ogni muffin una bella manciata di granella di zucchero e qualche mandorla a piacere (ricordatevi di non esagerare per la questione Fodmap, quindi vi consiglio di non metterne più di 3!)

7) infornate i muffin a 180° per circa 15/20 minuti. (Nel mio forno a cottura ventilata sono stati sufficienti 15 minuti, verificate la cottura con uno stuzzicadenti e state attenti a che non brucino!)

Le nostre mini-colombe sono pronte! Profumano di mandorla, limone e arancia e sono tutte per noi! Buona Pasqua e Buona Primavera, LowFodmappers!